Mi portò a cena, insistette molto, non era proprio il mio tipo, qualcosa non mi quadrava, ma avevo bisogno di sentirmi corteggiata e lui tutto sommato lo faceva da moltissimo tempo. Nonostante i miei no.
Era una buona serata di fine estate, ancora qualche cicala aveva voglia di cantare, benchè lo facesse ormai da tre mesi. Beata lei, pensai.
Puntualissimo mi arrivò lo squillo sul cellulare, era sotto casa, iniziava la serata. Entrai in auto con un sorriso smagliante e la prima cosa che mi disse fu “questa camicia ti sta male, meno male sei bellina te”. Rimasi un attimo interdetta, stordita quasi, non sapevo se ridere o tirargli uno schiaffo, quindi rimasi immobile, con quel sorriso smagliante che adesso sembrava una colica. L’auto schizzò via con me sopra. Ormai era tardi per scendere. La sensazione che qualcosa non quadrasse era sempre più forte. Durante il tragitto parlammo, parlammo, parlammo. Furono anche conversazioni molto piacevoli, riguardanti la società, la criminalità in aumento, l’immigrazione, il degrado sociale, gli ideali, parlammo di filosofia, amava Kant. Continuava a ribattere su come un uomo, per chiamarsi tale, dovesse decidere di vivere la sua vita, in virtù di una scelta di giustizia. La sensazione era sempre la solita: sorriso o schiaffo? Dunque nuovamente rimasi immobile con un sorriso ebete. Questo, fu colto da lui sicuramente come un segno di lusinga. Più lui parlava, più mi rendevo conto di quanto avesse bisogno di essere compiaciuto, di come nonostante si mostrasse così sicuro, avesse in realtà bisogno di accondiscendenza. Di fatto, ogni qualvolta tentassi di contraddirlo mi dava dell’idiota. Questo mi faceva sentire sì perplessa, ma anche un velo nervosa.
Ma la serata doveva andare bene, me lo ero imposta. E così lo lasciavo parlare.
Arrivati nel ristorante semideserto, i camerieri gentilissimi ci fecero scegliere il posto dove gustarci la cena. Mi avvicinai ad un tavolo e subito la sua voce risuonò forte e imperativa “li no. scegline un altro!”. Mi diressi verso un altro tavolo, quasi intimidita di fare la scelta sbagliata, cosa che naturalmente feci e con un velo di noncuranza mi spostai ancora verso il terzo tavolo che ovviamente non andava bene. A quel punto un po’ scocciata ma sempre estremamente cordiale e decisa a non rovinarmi la serata, gli suggerii di trovarci il tavolo giusto, il tutto sotto gli occhi esterrefatti del personale. Qualcosa in questo ragazzo proprio non andava.
Una volta ordinata la cena (e ragazzi, non fu facile) ad un certo punto si sentì un gran fragore. Lui si alzò in piedi, di scatto, mi si parò davanti facendomi scudo con il suo corpo da dei proiettili invisibili. Era comunque ovvio che il rumore era quello della classica pila di piatti fatta cadere da qualche parte nel locale. Il boato fu forte, per carità, ma non tanto da giustificare questa reazione. Mi fissò, chiedendomi se stavo bene, annuii sempre con il solito sorriso beota, mi tirò un buffetto, ripeto, mi tirò un buffetto e se il buffetto non è abbastanza lui disse con tono profondo e determinato “Ehi bambina, finchè io sarò con te non ti capiterà mai niente di male”. Ero smascellata. Io credo davvero di essere rimasta trenta secondi a bocca aperta, imbarazzata e disagiata.
Voi non ci credete vero? E ancora non ho finito.
Ci portarono la zuppa. Continuammo a parlare di argomenti sodi, effettivamente, di come lui provasse il desiderio di proteggere le fasce più deboli, sentimenti profondi, di una morale molto integra e ne rimasi colpita.
“Voglio svelarti un segreto”
No, pensai. Non lo voglio sapere il tuo segreto.
“Da quanto tempo ci conosciamo io e te?”
Risposi preoccupata che ormai era una decina di anni, anche se mai avevamo avuto una frequentazione.
“E non ti sei mai chiesta perchè non ti sia mai accaduto nulla?”
Ecco, ero spaventata.
“Perchè io sono Batman”
E lo disse così. Con una serenità, come se avesse detto domami compro le uova. Lui disse “Perchè io sono Batman” e lo disse convinto di esserlo. In una manciata di secondi, quell immediatamente prima al mio scoppiargli a ridere in faccia, pensai tantissime cose, ma quella che più mi rimbombava era che DAVVERO credeva di essere Batman. Lo guardavo attonita, a bocca semiaperta e continuavo a pensare che DAVVERO LUI CREDEVA DI ESSERE BATMAN.
Si, scoppiai a ridere, senza la minima delicatezza. Riuscii solo a dire che una volta avevo visto uno speciale su Discovery Channel che parlava dei supereroi moderni in America. Ma lui mi guardò con tenerezza. Mi guardò come se si fosse reso conto di avermi dato una verità troppo grossa da gestire. Aveva sul volto disegnata l’espressione della comprensione per i poverini (in questo caso me), per chi non riusciva a capire il grande lavoro del cavaliere oscuro. Addirittura non crederne l’esistenza.
Lentamente si alzò, mi tolse il cucchiaio dalla mano, mi fece alzare e guardandomi dritta negli occhi disse che non ero pronta. Si girò ed uscì.
E sebbene io preferisca di gran lunga Iron Man, ogni tanto rifletto sul fatto che possa proteggermi appostato sul tetto di casa, scrutando l’oscuro orizzonte, in attesa di un batsegnale.
Io non lo vidi mai più, ma lui rivide me?
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