A.A.A

Mi piace quello. Ma mi piace un sacco.
Da qui segue quasi sempre un selvaggio stalking sul profilo fb, su whatsapp, su instagram. Guarda ha fatto questo, guarda è andato li, guarda ha scritto quello. Ora gli scrivo, non mi ha risposto, controllo, ha letto, non ha letto, visualizza e non risponde: OHHH! Calmi!
Non ci rendiamo conto che ne diventiamo dipendenti, ancora prima di entrare in contatto realmente con quella persona. La comunicazione distorta a cui siamo abituati diventa una totale dipendeza, non tanto dalla persona, ma dalla comunicazione stessa. Lo trovo drammatico. L’ho fatto e quando mi sono resa conto di farlo mi sono sentita una dipendenza addosso. Poi l’ho analizzata e mi sono accorta che nemmeno mi importava di Lui ma bensì che Lui mi rispondesse. È una sottile differenza, ma credo sia fondamentale.
Oggi conosciamo le persone prima on line che di presenza. Iniziamo un rapporto con il loro modo di scrivere di pubblicare, di fare foto. E spesso questo periodo dura più del necessario. Ci creiamo un’immagine di quella persona che magari è solo apparenza, magari è realtà, magari si, magari no. Ma iniziamo a creare storie su questa persona, iniziamo a immaginare. Scusate e la realtà?
Mentre ci imparanoiamo nel “OHMIODIO NON MI SCRIVE, MA È ON LINE OPPURE NO?” e giù a cercare su ogni social, perdiamo di vista una cosa stupida e semplice: vedersi.
Ora, forse qualcuno obietterà che Lui (o Lei) è molto impegnato e non può proprio trovare il tempo, per questo ci sentiamo per sms, ma mi ha scritto ed è una cosa buona, no? NO. Ragazzi non lo è. Se una persona non trova il tempo per noi, va lasciata stare, anche perchè come potrete confermare voi stessi dallo stalking selvaggio, la persona in questione trova il tempo per fare molte altre cose. E scrivere un messaggio non è trovare del tempo. Ma abbiamo chattato tutto il pomeriggio. E perchè non vi siete visti? Perchè si continua a rimanere nell’irreale? Facile. Perchè non vogliamo metterci in gioco o sbilanciarci. Ovviamente sto parlando dei rapporti in nascita, sono una fan delle chattate dure, a patto che siano con persone con cui mi vedo anche. Usciamo a mangiare un boccone, a prendere un caffè, a ballare, a fare una passeggiata. Poi si chatta. Cambiando l’ordine degli addendi il risultato cambia eccome.

Quindi, ciao, sono Sandra e sono 29 giorni che non cado nella dipendenza. Non sono sicura che non ci ricadrò. Ma per il momento ho guardato il problema e mi pare proprio che il primo passo per affrontare un problema sia proprio ammettere di avere un problema.

Immobilismo

La staticità è qualcosa che mi ha sempre provocato un certo grado di invidia. L’essere in così perfetto equilibrio con tutte le proprie parti da essere immobile, in quiete, dove niente ti può turbare. Avere la capacità di essere immutabile nonostante forze contrarie.
Sarebbe molto bello essere statici anche nella vita, sarebbe tutto più facile. Qualsiasi cosa accada io mi ritroverò nello stesso posto, con le stesse convinzioni e con gli stessi pensieri di prima, ma sarò lì, statico, fermo. Certo, non metto in dubbio che così facendo smarriremmo il senso della vita, perdendo quei bellissimi colori emozionali che proviamo quando ci relazioniamo con le persone che inevitabilmente ci cambiano, nel bene o nel male. Ma è proprio questo il punto. Il male.
Quanto dobbiamo aspettare che il male ci abbatta, ci affossi, ci spinga sempre di più verso il basso prima di ricevere un feedback? Quando dobbiamo essere statici e fermi aspettando che le forze si plachino e quando invece dobbiamo reagire, prendere coscienza di noi, muoverci e diventare dinamici??
L’emozioni che proviamo sono come i maglioni di lana che indossiamo. Se indossi un maglione che ti piace, comodo, che ti fa stare bene è giusto rimanere immobile. Quando però quel maglione inizia a diventare stretto, scomodo, pungente, beh, è meglio toglierselo senza aspettare che ci procuri un eritema. Il male serve, proprio come serve il bene, ma non deve prendere campo. Non dobbiamo tergiversare aspettando che le cose migliorino. Spogliamoci, buttiamo via i maglioni stretti, strappati, ispidi e prendiamone di nuovi. È molto difficile buttare via un maglione a cui siamo affezionati perché ci ha dato calore quando ne avevamo bisogno, ci ha protetto dalle intemperie del tempo, ci faceva sentire al sicuro.
Ma basta sedersi, prendere un lungo respiro e muoversi.
Tanto, alla fine, siamo i maglioni che indossiamo.

Il signor Fruttivendolo

Ogni giorno, da diciotto anni, faccio la stessa strada per arrivare a casa.
È necessario passare da questa strada, abbastanza nevralgica, per arrivare a casa mia, più o meno da qualsiasi direzione.
Ecco, in questi anni, ogni giorno, ho visto un fruttivendolo, con il suo camioncino. Capelli mori, non una faccia cordiale e i prezzi alti. Inoltre sta su una strada trafficata e la frutta e la verdura sapranno di smog, quindi diciamo che non mi ci sono mai fermata.
La mia casa era quella di dove vivevo con i miei, quando ero piccola e andavo alle superiori. Negli anni ho visto i capelli di quest’uomo diventare bianchi, ho visto il suo volto riempirsi di rughe. Da ragazzina, tornando da scuola lo salutavo sempre. E lui sorpreso ricambiava il saluto con la mano. Poi ho iniziato a guidare e la macchina era la mia, non quella della mamma. Non mi ha più riconosciuta. Lui conosceva la macchina che passava, non me. Chissà quante auto avrà riconosciuto; ho sempre immaginato che al mio passaggio pensasse “ecco la Toyota che torna a casa, puntuale, le 13,45” e così con ognuno di noi automobilisti. Alle sue spalle c’è il fiume, ma mai una volta l’ho visto guardarlo, sempre la strada, sempre la stessa posizione, giorno dopo giorno, con le mani conserte dietro la schiena, nonostante i capelli invecchiassero, mai una volta l’ho visto parlare con qualcuno, nonostante la pelle accartocciarsi, lui rimaneva immobile. Giorno dopo giorno per diciotto anni.
Oggi, tornando da lavoro, come ogni giorno ho guardato. Ma lui non c’era. In fila, in auto, ho pensato che magari era morto. Ma no, è solo che oggi non c’è. Magari ha la febbre. Oppure è morto. In auto, in fila, ho pensato che lui fa parte della mia quotidianità, come un figurante nella mia vita, da diciotto anni, ma non io per lui. È solo uno sconosciuto, ma quante volte ci comportiamo così con le persone che ci stanno vicine? Insomma, ho pensato a quante volte sappiamo che qualcuno o qualcosa è li, nella nostra vita, ma non ce ne rendiamo conto. Le cose che abbiamo tendiamo sempre a non vederle e a lamentarci di quello che invece ci manca, è l’animo umano, è vero.
Ma io quell’uomo l’ho visto invecchiare e se adesso fosse morto e non lo vedessi più? Quante volte ci troviamo a capire che qualcosa è importante solo dopo che lo abbiamo perso? Non voglio certo dire che per me il signor Fruttivendolo sia stato importante, no, ovvio, ma il parallelismo è presto detto.

La verità è che per un periodo mi sono sentita persa, ho dovuto ritrovare il centro di me stessa a causa di molte cose e persone che sono transitate nella mia vita. Ma io sono ricca di altrettante cose e persone che sono rimaste e che non riuscivo a vedere, in questo periodo oscuro che manco Darth Vader. E oggi, me ne sono resa conto, tutto insieme. Oggi mi sono resa conto con l’assenza di quell’uomo che a volte, quando stiamo male, riusciamo a perdere di vista quello che ci sembra scontato e dovuto, ma che in realtà è ciò che rende la vita un miracolo. Amici, lavoro, rivincite, concerti, casa, cani, gatti, sole, neve, serie tv, persone nuove, persone vecchie che poi alla fine sono tutti piccoli pezzettini di noi.

Spero che il signor Fruttivendolo stia bene. Mi spiace non poter dire a qualche suo familiare, fosse il contrario, che la sua morte è servita ad una stronza per rimettersi in piedi.
Però, signor Fruttivendolo, in ogni caso, fosse domani o tra cinquant’anni, mi dispiacerà non vederla mai più.