Qui e ora

Non avrei mai immaginato, da pocopiùcheventenne, che sarebbe stato tanto bello, dopo essere tornata a casa da lavoro, fare uno spaghetto aglio olio e peperoncino, pulire casa, mentre l’acqua aspetta di bollire, cenare, farsi una doccia, cospargersi di crema (la odiavo, la detestavo), prepararsi la tisana da sorseggiare a letto, davanti ad una serie tv. Il tutto entro le 23.

Le fasi della vita cambiano. Le priorità della vita sono così mutevoli ed inimmaginabili. Lasciarsi cullare da questo, nelle grandi ere che ci determinano è incantevole. Sapere chi siamo e in che fase siamo è difficile, ma se si riesce a fare, allora il qui e ora prende un significato trascendentale.

Oggi ci sono io. Oggi le coccole sono per me.

Oggi amo me stessa.

Le quattro stagioni

Erano lì, separati da un angolo di muro, lui nel locale di rito, lei nel suo. Li divideva un angolo. Un angolo soltanto. Si erano incrociati, ma non se ne erano nemmeno accorti. Mentre lei percorreva la strada principale, lui le veniva incontro, salutando questo e quello. Lei assorta al suo telefono gli è passata accanto, per girare l’angolo pochi metri dopo.

Si conobbero per caso, una notte di luna piena, si parlarono per gioco, cercavano la stessa cosa e la trovarono. Si innamorarono semplicemente, la prima volta che fecero l’amore si sentirono dentro un film romantico. Uscirono insieme verso nottate piene di magia, la loro cittá divenne Parigi, nonostante Parigi non fosse. Camminarono mano nella mano nelle sere d’estate. Abbracciati, invece, sotto la pioggia autunnale. L’inverno regaló loro un albero di Natale, un bel camino accesso, con la fiamma alta che bruciava, come loro; i film che lei amava, guardati abbracciati stretti sul divano. Il whisky che amava lui, bevuto a tarda notte, con la brace silenziosa che scoppiettava piano fino a spegnersi. Ma loro parlavano, ridevano, costruivano i loro riti, a volte fino all’alba. In primavera piantarono i loro fiori, potarono i vecchi. Si scaldavano al primo solicino, lei metteva il maglioncino all’imbrunire, lui si avvicinava e la scaldava nel suo abbraccio, che a lei sembrava tutto il mondo che desiderava. L’estate arrivó torrida, gli abbracci divennero fastidiosamente umidi e sudati, brució i loro fiori. Ridere sembró improvvisamente difficile, forse impossibile. Le loro strade, nell’estate che bruciava, si separono.

In quella sera di settembre, di nuovo mite, loro erano lì, separati da un angolo di muro. Divisi da un angolo. Di tutte le stagioni vissute non c’era più niente. Si erano sfiorati, non si erano visti. Così vicini, ma ormai così lontani.

Non si sarebbero visti mai più. Separati da quell’angolo di muro, che in realtà era diventata una fortezza inespugnabile.

Il 30 marzo

Il 30 marzo del 2011 era una splendida giornata di sole. Era primavera inoltratrata, si azzardavano le maniche corte.  Il sole scaldava le ossa, infreddolite dall’inverno. Io quel giorno ero nel Chianti, a godere delle colline, di lì a due giorni sarei partita per Barcellona, avevo 25 anni, un idiota che mi regalava qualche soddisfazione, un buon lavoro e progetti di vita spensierati e colorati.

Era una giornata perfetta, canticchiavo le canzoni del concerto visto due giorni prima, Caparezza. Mi sentivo così bene, così invincibile. Nel mio petto entrava vita, aria, energia e mi pervadeva ovunque.

Ero nel Chianti per un lavoro, con il mio collega, più amico che collega, che guidava in queste strade piene di verde. Il mio telefono squillò. La moglie norvegese di mio padre dagli Emirati Arabi con furore. Non gli rispondo, che le devo dire? Aspetta, se mi chiama magari è importante, perchè non mi ha chiamato mio padre?

“Hello?!”

“I’m Kristine, I’m in hospital, your father.. he suffered a cerebral hemorrhage”

“Che?”

“Come here. Hurry up”

Riattaccai il telefono. Iniziai a ridere istericamente. Il mio collega fermò la macchina, mi chiese se andasse tutto bene. Dissi di sì, provai a scendere. Non ci riuscii. Non andava tutto bene. Partii il giorno stesso per gli Emirati Arabi. Due giorni dopo, la notte fra il 1° e il 2 aprile, mio padre morì.

In un solo attimo, la mia vita cambiò. Fu un secondo. Il tempo di una telefonata con non più di quindici parole. Ho vissuto ovattata, ho vissuto momenti di isteria, di calma terribile, momenti di isolamento e momenti di rabbia. In un secondo solamente ho capito quanto tentare di vivere controllando le situazioni sia del tutto una perdita di tempo, di come le cose che reputiamo importanti in realtà non lo sono poi così tanto. E di come lo diventano cose che pensiamo possano succedere solo nei film. Diventai adulta nel giro di una manciata di parole, diventai grande tutta insieme. Forse fu la mia fortuna. Forse no. Ho imparato a lasciar fluire gli eventi e a reagire ad essi. A plasmarmi sulle cose, anzichè tentare di plasmarle io. A volte inciampo ancora, ma tiro sempre su la testa, anche grazie ad una squadra di persone costruita negli ultimi sei anni.

Però su tutte c’è una cosa che ho imparato e che ho cercato di fare mia: che le cose accadono ed è VITA anche la parte scomoda di questo viaggio pieno di salite faticose e impervie e discese allegre e spensierate.

Gennaio

Mi faccio la doccia, in silenzio, senza musica. Ascolto l’acqua scorrere sulla mia pelle, immersa nel vapore acqueo caldo. Phon sui capelli, rumore nelle orecchie.

Mi vesto. Metto il giubbotto ed esco. Cammino nel verde, con il fiume accanto che scorre, fa freddo, il sole è dolce, come quello delle belle giornate che stanno finendo nei freddi pomeriggi invernali. A terra qualche petardo della notte precedente. Solo questo è rimasto di Dicembre. Respiro l’aria, abbracciata dalla nebbiolina del tramonto.

Sul mio sentiero Gennaio mi viene incontro passeggiando, nel suo cappotto nero e quel cappello che ricorda i film anni 50. Ci fermiano l’uno di fronte all’altra e ci giriamo verso il fiume. Respiro profondamente, a pieni polmoni, respiro vita, respiro foglie, pesci, acqua, respiro cielo, verde e anatre che volano basse. Chiudo gli occhi. E respiro progetti, delusioni, cadute, corse, respiro voglia di farcela, di cominciare e di ricominciare. Respiro fiducia, determinazione, amici e nemici. E lascio che tutto questo scorra, come il fiume che ho davanti.

Gennaio mi prende la mano.

“Sei esattamente questo. Esattamente tutto questo. Sei pronta?”

“Si.”

Novembre

Non mi piace mai veder fare le valigie ad Ottobre, così esco dalla stanza. Anche se quest’anno l’ho trovato un po’rigido è pur sempre il mio mese preferito e mi dispiace sempre quando se ne va.

Immersa nei miei pensieri ottembrini arriva un vento freddo, ma gentile. È Novembre, con i pantaloni blu e le bretelle, la camicia, il gilet e un cappello buffo. Ci accomodiamo in cucina, dove gli offro una cioccolata calda con la cannella che acquista più sapore nelle sue domeniche. La beviamo, parliamo e scherziamo. “Ehi, ti va di uscire?”

Braccio sotto braccio passeggiamo. Il cielo è azzurro, l’aria è fredda e gli alberi si spogliano ad ogni folata di questa fredda brezza di novità.

“Posso dirti il futuro, se vuoi, sará più semplice.”

“No. Va bene così. Sorprendimi”

E continuiamo a camminare, godendo del silenzio, tra una foglia e l’altra, scrivendo passo dopo passo ogni piccola curiosità.

#15

Lui ” Come stai?”

Lei “Mah, insomma…”

Lui ” Guarda non me ne parlare! Sapessi io! Oggi proprio nera! Sono stanco, mi fa male tutto e sono triste. Ah alla cena ci pensi te, vero?”

Coccolati

Quella sera ricordo che gli mandai un messaggio.

“Stasera mi spiace, ma devo rinunciare al nostro appuntamento.” 

Mi giravano talmente tanto le palle che lanciai il telefono sul divano, avevo disdetto con Lui per una giornataccia che mi aveva fatto desiderare con tutta me stessa, uscita da lavoro, una fermata in erboristeria e una chiamata alla mia amica “ti aspetto alle 22 per film e popcorn”. Quando una donna si ferma in erboristeria con il malumore più o meno è come quando uno fa la spesa che ha fame. Le erboriste se ne accorgono e con quel loro fare da crocerossina ti vendono anche tua madre, che non ti serve perchè ce l’hai e anzi ti avanza pure.

Tornai a casa verso le 20, nemmeno mi preparai la cena inizia a impiastricciarmi. Decisi di iniziare dalla buffa maschera per capelli, solida, attaccata ad un bastoncino, che andava sciolta lentamente in un barattolo di acqua bollente; questa operazione poteva richiedere fino a cinque minuti, dicevano le istruzioni. Mentre la giravo, la cosa solida si scioglieva, prima oleosa, poi sempre più bianco-gelatinosa, acquisendo la consistenza che qualsiasi donna sciocchina come me avrebbe accostato a… si si, lo state pensando pure voi, vi vedo.

Una volta sciolta, rimasi in reggiseno e pantaloni, per non sporcare la maglia, e iniziai ad impiastricciare questo composto di cui tutti abbiamo capito la consistenza sui capelli.

Bene, sembravo appena uscita da una gang bang.

A quel punto, nell’attesa dei venti minuti di posa, misi anche la nuovissima maschera per il viso al mirtillo e menta, che uno lenisce, l’altra rinfresca.

La maschera cominciò presto a bruciare l’epidermide come fosse acido, per cui andai di corsa a toglierla, mi finì negli occhi e mentre ero lì a maledire me e le mie idee zen suonò il citofono, la mia amica era arrivata, meno male. Aprii la porta e tornai in bagno, mezza cieca, con i capelli impiastricciati e la maschera che mi aveva arrossato a chiazze il viso, sentii la porta sbattere, andai verso l’ingresso e. E. E Lui era li, davanti a me, seminuda, con la faccia a pois e i capelli che manco fossi uscita da un giro di bukkake.

Era andata così: “stasera mi spiace, ma devo rinunciare al nostro appuntamento.” Mi giravano talmente tanto le palle che lanciai il telefono sul divano, ma senza curarmi che il messaggio fosse inviato, quindi, Lui, ignaro venne a prendermi, citofonò e sentondo aprire senza dire “scendo” salì.

Scoppiò a ridere. Si girò e se ne andò, imbarazzatissimo.

Non lo rividi mai più, e dopo aver passato due giorni dico due a cercare di lavare via quella maschera dai capelli non rividi mai più nemmeno quella stronza di erborista.

 

 

 

Giugno

Maggio va via, si porta con sè tante conclusioni, tante fini, cerchi che si chiudono, tante paure. E tante ne porta Giugno, con le sue novità, con i suoi nuovi cicli. Con le persone che ho guadagnato e quelle che sono rimaste indietro. Giugno, lo so, non sei tu il mio mese, ma ti lasceró passare, standoti a guardare. Giugno, con il tuo cappello bianco, io ti faccio arrivare, ti faccio assestare, mi faccio amare e mi faccio abbracciare.

Ma non sei tu il mio mese.

#12

Lui: “visto che dici che non facciamo mai nulla insieme, tesoro, ti ho comprato una consolle di videgames nuova, con un gioco di guerra bellissimo!”