Che tragedia!

Mi trovavo fuori città per un viaggio culturale, decisi di andare a vedere le tragedie greche a Siracusa. Organizzai il mio viaggio con un amico, prenotai i biglietti molto prima. Arrivammo accolti dal sole siciliano, dal blu cobalto e dall’odore di sole e mare. Una capatina al mare e la sera il teatro ci accolse, come un ospite perfetto, proprio alla maniera dei greci. Trovammo i nostri ottimi posti, ci sedemmo. Due chiacchiere e quasi a ridosso dell’inizio dello spettacolo i due posti accanto a me erano vuoti. Eccoli arrivare i due ritarda… “Ah peró” Pensai. Lui era bellissimo, alto, spalle larghe, occhi verdi, capelli rasati, mani enormi. Alla faccia del siciliano. Lei al suo seguito era carina, ma non bella, tanto era fatta a bambolina. Riccioloni sulle spalle occhialoni grande e vestitino a ruota rosa. Appena seduto Lui si giró verso di me sorridendomi, poi una gag con un vecchietto che poco ci manca mi casca addosso, poi a metà spettacolo lui si commosse, si giró e mi guardó cercando tenerezza.

La tua fidanzata è di là tesoro. O forse è tua sorella? Si, magari è la sorella. Del resto anche io sono qui con il mio amico. Non può essere anche lei un’amica? No è la sorella. Sicuro.

Nel dubbio rimasi nel mio angolo di mondo, nel mio piccolo posto G88, stando bene attenta a non toccare il suo ginocchio. Finita la tragedia mi salutó e io e il mio amico andammo in centro, per una passeggiata. Chi ti incontro a metà del lungomare?! Lui che mi sorride. Ricambio, ci incrociamo e fine della storia.

Dopo un’oretta decidemmo di andarci a bere una birra in un locale. Seduto al tavolo accanto Lui, che per tutta la sera mai mi levó gli occhi di dosso. Sguardi incrociati, sorrisi accennati, poi lui andó. Chiese alle persone con lui di aspettarlo un attimo, andó in bagno e tornó furtivo vicino al mio tavolo, dove di nascosto lasció un fazzoletto con su scritto il suo numero e un “se vuoi domani mattina chiamami”.

Ovviamente lo chiamai. Non prima di aver fantasticato su questo incontro ricco di karma e destino e perchè no, pure una mano divina.

“Il numero da lei chiamato è inesistente”

No aspè lo rifaccio.

“Il numero da lei chiamato è inesistente”

No, ma davvero? Spè di nuovo.

“Il numero da lei chiamato é inesistente”

Non lo rividi mai più. Mannaggia a lui.

Le conseguenze dell’umore

Non ci vado. Oppure si. Che faccio ci vado? “Se ci vai, ci finisci a letto”. Eh, allora non ci vado. Oppure si? Secondo te? “Se ci vai, ci vai a letto” okokokok. E quindi? Era il migliore di tutti a letto, perchè non ci posso andare? Le conseguenze. okokok.

No alle conseguenze. #stopconseguenze.

Allora non ci vado. E invece ci vado. Le cose vanno affrontate. E poi è così bello, me lo guardo un po’. Poi smetto per sempre.

Mi invitò a cena a casa sua, stava cucinando per me, aveva comprato le cose che mi piacevano, se ne era ricordato. Dalla mia visuale le sue spalle attiravano tutta la mia attenzione, nonostante cercassi di fare discorsi su questo e quello che mi era successo nel lasso di tempo in cui non ci siamo visti. Quelle spalle. Praticamente quadrate, a cui mi aggrappavo saldamente ogni volta che capitava facessimo l’amore. E sì, lui sì che faceva l’amore. Come mai nessun altro.

Dunque, capitava che di tanto in tanto ci fosse qualche ricaduta, dove puntualmente io (ma pure lui) decidevo che fosse l’ultima. Ma come si fa a smettere di fare una cosa così tanto bella. Perchè per quanto lui per me fosse l’incarnazione dell’attrazione era davvero evidente che anche da parte sua c’era da sempre un richiamo atavico e animalesco e istintivo e incontrollato e… e riguardava me. Proprio me. Una sensazione divina.

Comunque chiacchierammo del più e del meno, di cose più serie e  mangiammo. E poi ci sorridemmo. Eccoci. Quel sorriso voleva dire che ci stavamo avvicinando fortemente alla zona pericolosa. Non avrei ceduto. Non stavolta. Nonostante mi chiedessi come mai non dovessi. Scartabellavo con le dita tutti i motivi che venivano puntualmente smontati da quegli occhi così desiderosi di me. CONSEGUENZE. Ecco. Eccolo il motivo inattaccabile. Indissolubile. Le conseguenze.

“Senti, ma, lo dico così, non per sminuire nulla, nè per avvilire, ma insomma, se io ti voglio e ti prendessi SENZA CONSEGUENZE?” Mi affogai con il vino e approfittai di una risata isterica per continuare a scartabellare nella testa dei motivi per dirgli di no. Poi un tuono fermò tutto.

C’era lui. C’era il vino. C’era Tom Waits che cantava di sottofondo. E c’era pure il temporale. E vaffanculo.

Ci saltammo addosso, ci baciammo, mi prese per mano e mi porto in camera. Mi spogliò, lo spogliai. Non mi levò MAI gli occhi di dosso, con quello sguardo da gladiatore pronto a combattere con il suo nemico felino, mi strinse le mani sul culo, mi aggrappai alle sue spalle, quelle cazzo di spalle ineguagliabili, ci unimmo, ci mordemmo, ci catapultammo in quella dimensione che non è di questa terra. Dove solo io e lui sapevamo stare.

Un gran peccato che poi si dovesse sempre ritornare.

Decisi di non volerlo rivedere mai più. Ma sapevo che stavo mentendo a me stessa.

Il Raphus Cucullatus

La storia che vado di seguito a narrare, esce da ogni schema. Si distanzia da ciò che ho vi ho raccontato fino ad oggi. Si distacca da ciò che ho vissuto fino ad oggi. Quando arriverete al finale, non fatevi troppe domande, perchè vi assicuro che  me le sono fatte già io, senza arrivare a nessuna risposta. Questo racconto è inoltre vietato ai minori di 16 anni. Nonostante sembri scritto da una Sandra posseduta da una bimbaminkia.

Lui era proprio un bel tipo. Modaiolo qb. Hispter qb. Divertente, gran bel sorriso, gran begli occhi neri, profondi, buoni e gioviali. Ultimamente non stava benissimo, bisogna premetterlo, brutte storie sentimentali, brutti risvegli da sogni che sembravano reali, ma insomma, venne a casa mia. Portò un buon vino, preparai un aperitivo. Chiacchiere, molte, risate e filosofie. Gli guardavo le mani e le immaginavo un po’ dappertutto addosso a me, tanto che Lui se ne deve essere accorto perchè ad un certo punto me le sono trovata sul culo con tanto di lingua in bocca. Signori, che bacio. Che passione, la lingua spingeva sulla mia e la mia sulla sua, la lingua deve spingere, altirmenti vuol dire che non c’è presa. Sissignori, spingeva eccome. La lingua.  Mi trovai seduta su di lui. Le sue mani, quelle mani, si, quelle mani erano addosso a me, dentro di me, quelle mani così belle. Quella bocca, così bella, era sul mio collo, tirato. Ogni singolo nervo era attento ad ogni cosa, ad ogni respiro, ai suoi denti sulla mia pelle, alla sua mano sul mio seno e all’altra mano, beh. Sissignori la sua mano BEH. Mi prese, mi alzò e appoggiò il suo bacino al mio.

UOHUOHUOH. DINGDINGDING JACKPOT.

Gli slacciai con foga i pantaloni e.. “ma ciao” eccomi davanti al leggendario Raphus cucullatus, uccello mitologico maestoso, nerboruto, grande e grosso, raro modello  con becco a banana, di cui tanto avevo sentito parlare.

DINGDINGDING JACKPOT.

Mi stavo mentalmente già sfregando le mani, ripensavo alle volte in cui avevo disquisito con amiche e amici ornitologi sul fantomatico uccello dal becco a banana, credendolo ormai solo una leggenda. Il Raphus cucullatus pare che possa dare infinite gioie e infinite soddisfazioni e finalmente, dopo anni, era lì, davanti alla mia faccia felice e sorridente. Insomma, come se finalmente avessi trovato il Bigfoot. Era Big, ma non era Foot. Le sue mani prendevano le mie spalle, prendevano il mio collo, ragazzi, mi voleva, questo è assodato. Ma. Ma. Eccoci al MA. Il suo telefono cominciò a squillare insistentemente, aveva una cena e lo stavano aspettando. Doveva andare. Doveva davvero andare? Si. Si ricompose, mi guardò negli occhi e mi disse che ci saremmo rivisti il giorno dopo, per finire ciò che avevamo iniziato. Durante la sera mi scrisse. Eravamo davvero presi da quell’antipasto, entrambi con una gran fame delle altre portate. La mattina seguente mi svegliai con una strana sensazione. Non tardò il suo messaggio. “Potrei dirti una cazzata, ma voglio essere sincero, non è il momento. Non sto bene, lo sai. So che capirai”. Alzai lo sguardo dal display e vidi quell bellissimo uccello mitologico volare via.

Non lo vidi mai più, esattamente come leggenda narra.

La parte scoperta

Bisognerebbe essere oneste con se stesse, quando ci rendiamo conto che la persona con cui usciamo non è all’altezza delle nostre aspettative, o più semplicemente, dei nostri bisogni. Magari ne soddisfa alcuni in maniera perfetta, ma la maggior parte rimane scoperta, al freddo, lontana dal camino.

Eppure anche quei bisogni hanno necessità di focolare, di essere scaldati, di essere accolti. È chiaro, non esiste l’altro (o l’altra) perfetta, questo ai trenta si capisce bene, ma se è vero che su alcune cose possiamo fare finta di nulla, su altre dobbiamo necessariamente imporci. Il bisogno di qualcuno vicino non deve fare perdere di vista che chi ci sta accanto deve avere delle qualitá che coprano buona parte dei nostri bisogni. Che non per tutti sono uguali. Per questo è fondamentale conoscersi e stare bene con se stessi. Quando si inizia a stare con qualcuno e si vuole una frequentazione con finalità coppiesche peró non si possono non ascoltare i campanellini d’allarme. Io ogni volta che ho ignorato quel suono fastidioso, dopo mi ci sono trovata incaprettata, ecco. Dobbiamo imparare a rispettarci. E se il cuore o lo stomaco o il cervello suonano un dindindin sarebbe il caso di fermarsi e domandarsi “ma sei proprio sicura che è quello che vuoi?”. È difficile, lo so. Ma non è poi più difficile trovarsi in delle situazioni di disagio e fastidio?

Forse, anche se non va più di moda, si dovrebbe imparare a vivere le cose con la dolcezza della calma, anche se la nostra società ci impone di correre, di definire, di incasellare. Altrimenti come si fa a fare delle fondamenta solide e ben costruite? Forse le cose vissute un po’più lentamente ridurrebbero i non si videro mai più (rendendo questo blog praticamente nullo) ma forse, dico forse, saremmo tutti un po’più tranquilli.

La risposta ovviamente non esiste, almeno tra le mie mani, spero peró che voi che leggete siate un po’più avanti di me in questo percorso di vita.

 

Foto by Claudia Gori

Ottobre

Settembre si è rivelato, con quel suo fare rassicurante, con quel suo sguardo sedante, un ottimo alleato, portando con sé calore al cuore, prove da superare, alcune domande e molte risposte.

E mentre guardo fuori dalla finestra l’autunno colorare la montagna, ascoltando la pioggia battente, nel riflesso del vetro vedo la sua sagoma. Il mio Ottobre se ne sta lì, in piedi, con un maglione rosso, l’ombrello giallo in una mano e un pacchetto regalo nell’altra. Mi giro, corro da lui e buttandogli le braccia al collo gli sussuro quanto mi è mancato.  Adesso tutto, ma proprio tutto sembra essere più leggero. Quanto lo amo Ottobre! Lo prendo per mano e lo trascino in cucina emozionata, per la prima tisana della stagione. Mi guarda con gli occhi innamorati e mi porge il regalo. “Buon compleanno, bionda“.

Sorrido con il sorriso più spontaneo che ho e il cuore che batte forte forte. “L’ho visto e ho pensato a te” ammicca.

Come si fa a non amare Ottobre?