L’ onda

Ho attraversato periodi difficili nella mia vita, periodi che mi hanno portato lontano, che mi hanno portata qui, ad essere la donna che sono. Credo di essere stata abbastanza brava nel riuscire a non perdermi d’animo davanti alle intemperie della vita, ma ancor di più a non perdere mai di vista me stessa. Ho lavorato molto su di me, sempre, in ogni occasione, per tentare di essere la donna che avrei voluto.

Ho fatto molta strada, eppure adesso mi sembra di essere tornata al punto di partenza. Mi sono scervellata su questa cosa, presa dal panico del non aver imparato nulla. Poi ho guardato la mia vita in maniera macroscopica e ho capito che molte cose che ho voluto imparare, molti atteggiamenti di me stessa sono effettivamente cambiati, altri invece ancora no. Ho capito di essere un’onda.

Ecco. Io sono un’onda. Sono nata in mezzo al mare, strada ne ho fatta molta, spinta dalla volontà di migliorarmi. Mi sono infranta sulla sabbia, sono arrivata lontana. Ma poi: la risacca. Non sono tornata al punto di partenza, semplicemente delle cose le ho interiorizzate (la strada sull’acqua) altre invece le ho capite senza farle mie (la strada sulla sabbia e il ritorno al mare).

Presto sarò di nuovo onda che nasce nel mare. Imparerò ancora. Migliorerò ancora.

Sperando un giorno di diventare un mare estivo, calmo, caldo e rilassato.

Blu

Abbracciata dal buio, stretta nel piumone, sfoglio con le dita i miei pensieri.

Distratta dal tuo sonno, dal respiro profondo di chi sogna, discorro la giornata in ogni sua forma. Conosco questi sintomi, voli pindarici di pensieri. Spio il sonno dei cani, questa volta.

Sintomi di lieve ansia forse insonnia che fa capolino dall’oscurità e che cerco di respingere giù.

Il buio mi accarezza e io tocco ancora con le dita ogni singolo pensiero.

Canticchio silenziosamente una canzone. Pioggia battente. Chiudo questa giornata. Bastasse chiudere gli occhi. Presto o tardi sará domani.

Dicembre 2.0

Novembre è partito, ha messo in fila le carte per il suo collega Dicembre, che non tarda a battermi la mano sulla spalla. Dicembre è stato sempre “quello del Natale”. Quello del Grinch, quello di Scrooge.

Quest’anno Dicembre sorride. Quest’anno Dicembre, non spaventa, non angoscia, non ha più quel potere di farmi sentire sola. Ho costruito. Ho costruito cose buone e ho distrutto. Ho distrutto senza pietà ció che andava inesorabilmente distrutto. Mi sono circondata di bene. Ho scelto per me il meglio. Ho escluso ció che era tossico. Mi sono riedificata. Il benessere, è vero, non è altro che la volontà stessa di voler star bene, partendo da se stessi, destrutturandosi con dolore e fatica.

E l’albero di Natale, improvvisamente, non è più un nemico.

Ottobre❤️

Settembre gentile e profumato indossa il borsalino per lasciare spazio al mio adorato Ottobre. Sicuramente arriverà, a momenti. Lo so per via del colore della montagna, che piano piano si tinge di autunno. E io lo aspetto, mi sistemo bene davanti allo specchio, i capelli ben pettinati, l’abito blu pulito e profumato. Suona alla porta, non lascio staccare il dito dal campanello che giá ho aperto la porta, come una ragazzina innamorata aspetta il ragazzino dei suoi sogni. Ottobre è lì, con il suo meraviglioso sorriso, la giacca marrone, l’adorabile maglione rosso e una sciarpina gialla, che tira vento e in questa stagione il mal di gola è in agguato. Ottobre è lì e io lo abbraccio. Lo abbraccio forte. Lui mi stringe, mi guarda negli occhi “ho un sacco di regali, per il tuo compleanno, ci penso io a te.” e mi riabbraccia nuovamente, facendomi fare una piroetta.

In sottofondo una canzone di Capossela.

Oh, si. Ottobre, tu sei proprio il mio preferito.

Eccomi a casa

Non si può piacere a tutti. Io ho avuto la sfortuna di non piacere alla maggior parte della mia famiglia. Ci sono voluti molti anni per superare questa cosa. Quando non piaci a qualcuno a cui dovresti piacere di default ti senti sempre l’esclusa e l’abbandonata. E giù complessi che non ti permettono di vivere serenamente. Fortunatamente però, io una famiglia me la sono costruita nel tempo, un branco sgangherato, che mi ha fatta sentire protetta, che mi sostiene ogni giorno e che mi sceglie ogni giorno. Fortunatamente (e lo dico oggi, con leggerezza) le persone tossiche, quelle che ti fanno sentire sbagliata, quelle che ti fanno sentire sempre giudicata e mai libera di esprimere te stessa, perché te stessa non gli piace proprio, se ne sono andate da sole. Come una magia, dove all’inizio rimani perplessa, dove ti senti spaesata, ma poi, giorno dopo giorno, ti rendi conto che erano come un veleno che ti entrava nelle vene, con la loro rabbia, la loro perfidia, il loro opportunismo costante e incontrollato.

Successivamente la loro sparizione graduale io sono migliorata. Questo mi ha portata a riflettere su una cosa importante. L’ambiente. Il nostro ambiente. Quello che viviamo tutti i giorni. Per essere sereni (sereni, non felici, perché è la serenità quella che va conquistata ogni giorno) è necessario partire dalla pulizia del proprio ambiente. Finchè non si avrà il coraggio di rendersi conto che alcune persone sono tossiche, non si riuscirà mai a vivere serenamente, poiché il loro male invaderà e toccherà ciò che tentiamo di costruire.

Pulire il proprio ambiente è fondamentale, riuscire a distaccarsi da chi ci fa male, schermare chi ci fa sentire inadeguati. Questa, a mio parere, è la base per poter mettere fondamenta solide per la nostra esistenza, per la nostra serenità, per quei picchi di felicità che ci meritiamo.

Ho messo i primi mattoncini. Sarò una casa bellissima. Sarò la casa che voglio essere.

Equivoci fotovoltaici

Lui era matto. Matto di quelli belli. Quel tipo di matto che si lascia guidare, perchè lo sa che è matto. Un matto di quelli che attraggono e che lo sanno, ma per cui non è sempre stato così e se lo ricordano. Faceva l’artista, non specificherò che tipo di artista fosse, non ha importanza. Lui era un Artista a tutto tondo. Ed era fico. Occhi enormi verde acqua, capelli mossi scuri, labbra del dio dei baci.

Eravamo conoscenti social da un bel po’, in seguito ad un evento che lo vide protagonista, mi aggiunse su fb. Poi instagram. Qualche like, nulla di più. Quasi un anno dopo lo sognai. Sì, sognai un perfetto sconosciuto. Fu talmente strano che mi venne naturale dirglielo. Iniziammo una chat estremamente brillante, che non si fermò nemmeno quando lui disse “vado ad un concerto con IL MIO FIDANZATO”.  Pensai che fosse molto bella la naturalezza del suo essere innamorato di un uomo. La chat si stoppò per un periodo, un periodo per me faticoso, altrettanto per lui, tanto da non sentirci. Poi una domenica brillò il telefono. Il simpatico Artista mi bussava dallo schermo. Gli raccontai dei miei pretendenti, che mi inseguivano in quel periodo e che annoiata rifuggivo, gli chiesi di vedersi quel martedì, lo avrei raggiunto dopo la palestra, mi piaceva, volevo assolutamente conoscerlo fuori dal social, nella realtà.

Quel martedì però iniziarono ad accavallarsi problemi lavorativi. Persone. Cose. Dovetti contattarlo per rimandare. Immantinente chiese allora di vedersi il giorno dopo. Ricordo distintamente che mi chiesi se questo fidanzato abitasse fuori zona, vista la disponibilità ad incontrarmi. Per caso domandai: “ma l’ho sognato o hai detto di essere fidanzato?

“Io sono single da due anni.”

Ripercorsi la nostra chat a ritroso. Gli avevo detto di tutto. Lui intendeva “il suo fidanzato” come il suo migliore amico, forte di una sua eterosessualità che, per chi non ci aveva mai parlato, era praticamente impossibile da scorgere. Gli avevo detto veramente di tutto, risposi anche alle sue domande più maliziose con estrema naturalezza e ora mi ritrovavo con un appuntamento che non volevo. Vibra il telefono. Un video. Lui, che mi fa vedere se stesso e le colline dove sta correndo. Un calore mi salì dallo stomaco fino alla radice del capello, sgranai gli occhi. PER NIENTE MALE QUA IL RAGAZZO. Bello come il sole, sorridente, scazzato. E MATTO. E io stavo per presentarmi all’appuntamento in tuta dopo la palestra. Tanto era gay. La fortuna era dalla mia, per una volta.

Ci vedemmo, parlammo, mangiammo, parlammo. Mi baciò, bene. Mi baciò bene fino a mattina. Ci salutammo, ma ci rivedemmo svariate volte. Il sesso era una gioia, sempre diverso, sempre vario, sempre allegro. Ero attratta da lui per questo suo essere qualcosa che lasciava appena intravedere, per quello che la fragilità di uno sguardo o la sincerità di una carezza urlano nonostante ciò che si dà a vedere. Ero curiosa di quello che c’era da scoprire. E lui lo era di me. Ci tuffammo, giocammo sott’acqua ma pure sopra. Adoravo spostargli i capelli dagli occhi e scoprirli così pieni di munificienza. Adorava accarezzarmi le gambe e fare disegni con le dita sulla mia pelle.

Come tutte le volte non lo rividi mai più, perchè le vita è questa, perchè è tutto in ciclo, perchè va bene così.

Un giorno aprimmo gli occhi e ci svegliammo da quel sogno.

Suona la sveglia. Apro gli occhi. Ma pensa tu chi sono andata a sognare. Quasi quasi glielo scrivo.

La nave fantasma 

Ci sono quei periodi dove non hai voglia realmente di una storia, ma allo stesso tempo non credi nei trombamici, ma uno che ti piace c’è. Immaginiamo la situazione idilliaca, che l’altro si trovi nel medesimo mood.

Ecco. Oltre a rivoltarsi nelle lenzuola (e dove più vi ispira) come ricci, cos’altro si può fare? Riflettevo sulle categorie di cose che rendono una frequentazione più virata alla relazione invece che alla semplice conoscenza.

Insomma, la cena è evidentemente una cosa impegnativa, una cosa che ci va un po’ stretta, che un pochino mette il cappio al collo. Si va a cena insieme quando due hanno mire coppiesche, non di conoscenza mera e semplice. Dividere un pasto è una roba intima. Intima ma condivisa con gli altri. Perché sei allo scoperto. Diversamente potrebbe essere dormire insieme. Sicuramente la cosa più intima mai inventata, ma se la relazione sessuale va avanti  reiteratamente potrebbe essere una prolunga per poi rifare sesso nuovamente. Io sono una fautrice del dopo ognuno a casa sua, ho chiuso inizi di frequentazioni a causa di uomini già pronti con lo spazzolino la prima sera. Ma diciamo che se due prendono una buona intimità, perché no?

Assolutamente niente smancerie in pubblico, questo va diretto sotto la categoria “relazione”. Ci si dovesse incontrare casualmente nei soliti posti, saluti, baci, tre chiacchiere. Poi ognuno alla sua serata. Questo tra l’altro gonfia a dismisura la libido perché a fine serata niente vi vieta di trovarvi da qualche parte e scopare come conigli, dopo esservi mandati segnali in incognito, dipende sempre dal grado di complicità tra le parti.

Mostre ed eventi culturali: dipende. Dipende da quanta gente conoscete che frequenta musei. Se si ha poca possibilità di incontrare persone allora perché no?  Il cinema lo immagino già più impegnativo.

Ed eccoci all’essenza della questione: la frequentazione virata al semplice stare bene, senza secondi fini, solo per allegria e senza pensieri deve necessariamente essere tenuta all’oscuro. Deve essere assolutamente protetta da sguardi esterni, social e chiacchiericci. Questo passaggio è F-O-N-D-A-M-E-N-T-A-L-E. Due individui che non hanno voglia di finalità coppiesche non vogliono domande. Nè fatte per sé, né tanto meno fatte dagli altri. Riuscire a mantenere proprio quell’angolo di spensieratezza umana risulta la carta vincente per far sì che la cosa vada avanti. Inevitabilmente questo sotterfugio bianco aumenterà il desiderio rendendo tutto un gioco divertente, allegro e leggero. Giocare è così sottovalutato in questi ultimi anni, è tutto sempre così serio e grave. Ma giocare con la libido è gioia pura. Credetemi. Come lasciarsi andare a un sano, intenso, violento orgasmo mentre stai scriv

C’ eravamo tanto sbagliati

Venivo fuori da un periodo di quelli che la vita un po’ ti piega. Era da diverso tempo che non avevo voglia di frequentare nessun omaccione. E ovviamente, per la legge che in amor vince chi fugge, ero piena di pretendenti.

Ma io non ne volevo sapere. Io uscivo con il mio migliore amico, ridevo, mi sbronzavo e pogavo.

Una sera provammo un locale nuovo. Non feci in tempo a fare tre passi lì dentro che vidi il barman.

BADABAM! Fu incredibile. Improvvisamente il cuore ricominciò a battere, dopo un anno e mezzo di torpore. Sentii nuovamente il calore del sangue sul viso, nel petto, tutto addosso. Sentii l’anima vibrare e cinque o sei farfalle volare nello stomaco. Fu incredibile.

Da sotto il suo cesto di capelli mori, il barman barbuto mi offrì uno shottino, senza nemmeno chiedermi se lo volevo. Era la cosa più schifosa che avessi mai tracannato, che per sentirla schifosa nello stato emotivo in cui ero vuol dire che doveva essere proprio distillato di schifo. Gli sorrisi. Lui spostò a malapena l’angolo della bocca e alzò il sopracciglio in modo accattivante. Vabbè era evidente che fossi di fronte al mio primo colpo di fulmine. I sintomi erano quelli, ne ero sicura, ne avevo sentito parlare spesso dalle amiche, ero convinta di esserne immune e invece eccomi lì cotta come un fegatino.

Il locale si riempì, ma lui trovò la scusa per uscire dal bancone, venirmi incontro e presentarsi. Tornata a casa lo cercai immediatamente su fb.

Chattammo. Mi chiese di uscire. Il nostro primo appuntamento fu da un paninaro. Un baracchino. Lo adorai. Il secondo invece da un kebabbaro. Disse che aveva questa sensazione che non importava dove fossimo, ma bastava esserci insieme. Mi abbracciava. Mi abbracciava tantissimo, disse che i baci sono scontati ormai, ma gli abbracci, quelli sono intimi, nessuno si abbraccia in pubblico.

Persi letteralmente la testa per Lui. Iniziammo a frequentarci, iniziamo a fare l’amore, iniziammo a stare insieme. Iniziammo a convivere.

Furono due anni bellissimi, di viaggi, risate, concerti, musei. Imparai da lui moltissimo. Mi insegnó la calma, la pace, la musica indie, mi insegnó a dormire dopo anni di insonnia. Gli insegnai la riflessione, le emozioni, ad essere se stesso, i film. Lui diceva sempre che io ero l’unica a saperlo guardare.

Siamo stati davvero felici insieme, pieni di interessi, di diversitá che trovavano spesso il punto comune. Entrambi stavamo davvero bene insieme. Ma. Ma ad entrambi mancava qualcosa, senza che nessuno dei due riuscisse a focalizzare cosa. Provammo a parlarne, come sempre riuscivamo a fare. Tranne per quel qualcosa che peró doveva fare la differenza. Eravamo diventati comodi l’uno per l’altra. Eravamo diventati una safety room da quello che ci spaventava fuori da casa e questo non ci permetteva di evolvere e crescere. Incredibilmente ci stavamo vicendevolmente castrando. Avevamo sbagliato da qualche parte, non abbiamo mai capito dove. Ma mai con cattiveria.

C’eravamo tanto sbagliati” come dice Lo Stato Sociale e decidemmo quindi di non vedersi mai più.

A distanza di tempo ancora non ricordo giorno in cui mi sia annoiata con lui. E ancora oggi gli sono grata  ogni volta che mi addormento.

Le conseguenze dell’umore

Non ci vado. Oppure si. Che faccio ci vado? “Se ci vai, ci finisci a letto”. Eh, allora non ci vado. Oppure si? Secondo te? “Se ci vai, ci vai a letto” okokokok. E quindi? Era il migliore di tutti a letto, perchè non ci posso andare? Le conseguenze. okokok.

No alle conseguenze. #stopconseguenze.

Allora non ci vado. E invece ci vado. Le cose vanno affrontate. E poi è così bello, me lo guardo un po’. Poi smetto per sempre.

Mi invitò a cena a casa sua, stava cucinando per me, aveva comprato le cose che mi piacevano, se ne era ricordato. Dalla mia visuale le sue spalle attiravano tutta la mia attenzione, nonostante cercassi di fare discorsi su questo e quello che mi era successo nel lasso di tempo in cui non ci siamo visti. Quelle spalle. Praticamente quadrate, a cui mi aggrappavo saldamente ogni volta che capitava facessimo l’amore. E sì, lui sì che faceva l’amore. Come mai nessun altro.

Dunque, capitava che di tanto in tanto ci fosse qualche ricaduta, dove puntualmente io (ma pure lui) decidevo che fosse l’ultima. Ma come si fa a smettere di fare una cosa così tanto bella. Perchè per quanto lui per me fosse l’incarnazione dell’attrazione era davvero evidente che anche da parte sua c’era da sempre un richiamo atavico e animalesco e istintivo e incontrollato e… e riguardava me. Proprio me. Una sensazione divina.

Comunque chiacchierammo del più e del meno, di cose più serie e  mangiammo. E poi ci sorridemmo. Eccoci. Quel sorriso voleva dire che ci stavamo avvicinando fortemente alla zona pericolosa. Non avrei ceduto. Non stavolta. Nonostante mi chiedessi come mai non dovessi. Scartabellavo con le dita tutti i motivi che venivano puntualmente smontati da quegli occhi così desiderosi di me. CONSEGUENZE. Ecco. Eccolo il motivo inattaccabile. Indissolubile. Le conseguenze.

“Senti, ma, lo dico così, non per sminuire nulla, nè per avvilire, ma insomma, se io ti voglio e ti prendessi SENZA CONSEGUENZE?” Mi affogai con il vino e approfittai di una risata isterica per continuare a scartabellare nella testa dei motivi per dirgli di no. Poi un tuono fermò tutto.

C’era lui. C’era il vino. C’era Tom Waits che cantava di sottofondo. E c’era pure il temporale. E vaffanculo.

Ci saltammo addosso, ci baciammo, mi prese per mano e mi porto in camera. Mi spogliò, lo spogliai. Non mi levò MAI gli occhi di dosso, con quello sguardo da gladiatore pronto a combattere con il suo nemico felino, mi strinse le mani sul culo, mi aggrappai alle sue spalle, quelle cazzo di spalle ineguagliabili, ci unimmo, ci mordemmo, ci catapultammo in quella dimensione che non è di questa terra. Dove solo io e lui sapevamo stare.

Un gran peccato che poi si dovesse sempre ritornare.

Decisi di non volerlo rivedere mai più. Ma sapevo che stavo mentendo a me stessa.