Baci a pioggia

Per molti andare ai matrimoni da soli dove non si conosce nessuno è motivo per declinare l’invito.

Non per me. Per questo fui felice di accettare, quando la mia amica disse che le avrebbe fatto piacere se io fossi stata lì a guardarla, splendida, innamorata, mentre andava all’altare.

Se qualcuno ti invita al suo matrimonio, è evidente che per quella persona sei importante, magari più di quanto realmente pensassi. Non l’avrei mai delusa, nonostante conoscessi solo la sposa.

Andare ad un matrimonio dove non conosci nessuno è una cosa assolutamente divertente, per una come me, che attaccherebbe bottone anche con i muri.

Poco dopo, infatti, chiacchieravo agilmente con questa e con quello.

Da lontano un Uomo Barbuto catturó la mia attenzione, in abito gilet e cappello. Un mix tra un dandy e uno dei membri dei Mumford & Sons, ma, subito dopo, attiró la mia attenzione la sua fidanzata che mi fissava con lo sguardo pazzoide. Le sorrisi. Non ricambió.

La festa andó avanti tra balli cibo e canti, quando uscii per fumare una sigaretta. Iniziai a parlare con un nuvolo di fumatori, anche l’Uomo Barbuto si unì a quel circolo di tabagisti. Via via che i fumatori finivano la loro sigaretta, rientravano. Rimanemmo soli, io e l’Uomo Barbuto. Parlammo in maniera circostanziale di musica, il suo outfit rispettava pienamente il suo stile musicale, lontano dal mio. Guardammo il cielo, minacciava pioggia, feci l’ultimo tiro e rientrai, incrociando la sua fidanzata che, come una iena inferocita attraversava la porta per andare, probabilmente, verso la sua preda da finire.

Fu inevitabile, per me, girarmi e sbirciare fuori dalla sala, dove si stava consumando un ring degno di scommesse, se solo avessi conosciuto qualcuno con cui poterle fare. Mi si avvicinó il fotografo, il quale sembrava uscito da un cartone animato: “hai fatto un bel casino!” Cosa?? Chi? Io? “Si, tu. Lei è gelosa.” No lei è pazza. È diverso.

Ci fu il taglio della torta, l’Uomo Barbuto era solo, ci mise poco ad avvicinarmi. “Fumi?”

“Si…”

“Tieni offro io.”

Uscimmo. Gli dissi che non avevo potuto fare a meno di notare che era rimasto solo. Pare che lei avesse preso l’auto e se ne fosse andata, nella notte, durante un matrimonio. Pare che fossero in crisi da tempo. La sigaretta finì, continuammo a parlare passeggiando. Ridemmo. I suoi occhi erano sereni, nonostante fosse stato appena piantato lì, i suoi occhi erano lieti ed era evidente che fossero così, perchè i suoi occhi stavano guardando me.

Sotto un cielo ottembrino che minacciava pioggia, l’Uomo Barbuto mi appoggió al muro del casolare e mi bació. Mi bació appassionatamente, mi bació con la brezza che si alzava lentamente, le nuvole che si accarezzavano, come lui accarezzava i miei capelli. Cominció a piovere, continuammo a baciarci. Aumentó sempre di più la pioggia su di noi. Eravamo quasi fradici quando si staccó dalle mie labbra per prendermi la mano e portarmi dietro l’angolo di quel casolare.

“Qui ci sono le stanze. La mia stanza. Sali?”

Pensai per un attimo. Pensai alla neo ex. Pensai che era stato il bacio più romantico della mia vita. Pensai alle beghe che ne sarebbero derivate.

Gli sorrisi, scossi il capo, gocciolando pioggia dalla testa.

Mi sorrise. “Capisco. Sei una tosta” disse apprezzandomi. Mi lasció il suo numero.

“Vado a casa” dissi. E feci una corsa sotto la pioggia, ridendo.

Non si videro mai più, ma ogni volta che piove, loro, ancora oggi, guardano fuori dalla finestra, sorridono e abbassano lo sguardo, sapendo che una bella serata di pioggia come quella, non la vivranno mai più.

C’è nessuno?

Ho scoperto da poco che esiste un atteggiamento che è quello di parlare con qualcuno, scambiarsi il numero, i contatti social, seguirsi, flirtare, iniziare a straparlare di qualcosa di molto simile ai sentimenti, fare sesso (altalenante, a tratti decisamente scarso, a tratti buono, ma comunque estremamente egoista-sì nel senso che una delle due parti non gode-), continuare successivamente a straparlare scomodando ancora emozioni e sentimenti e poi, di punto in bianco: SPARIRE.

Ora: ho scoperto che tutto questo nell’era difficile che stiamo vivendo è diventato un FENOMENO e questo FENOMENO prende il nome di “Ghosting”.

Il Ghosting è quel… FENOMENO che affligge una fascia d’età importante, pare che le persone che applicano il Ghosting abbiano problemi da ricercare in terapia, come abbandoni genitoriali e quindi non riescano ad assumersi la responsabilità di vedere soffrire qualcuno a causa loro e quindi, coscienziosamente, scelgono di fare come Dracula: puff e volare via. Pare che in qualche modo sia sempre esistito, ma che nell’era social-on line-visualizzo-e-non-rispondo sia amplificato.

Pare anche che le vittime di Ghosting, il…FENOMENO del Ghosting, ci rimangano sotto parecchio, non riuscendo a capire come mai il giorno prima andasse tutto bene e il giorno dopo l’altra parte sia sparita. E pare che sia una violenza psicologica importante da superare, molto più che un “no, guarda, finiamola qui perchè -segue motivo qualsiasi-“. Pare che ci siano persone che proprio non si danno pace per essere vittime di questo…. FENOMENO.

Dunque.

Mi sento sinceramente di rimanere profondamente basita davanti a tutto questo. Ma davvero viviamo in un’era dove una roba così viene definita un FENOMENO SOCIALE? Fatemi capire, chiamiamo Ghosting una roba che è mera maleducazione, mera viltà, incapacità totale di comunicare o assumersi le proprie responsabilità?

Ma davvero abbiamo trasformato in un FENOMENO un atteggiamento da stronzi? Davvero dobbiamo dare così tanta importanza da farne uno studio e dare un nome ad un atteggiamento che è semplicemente inqualificabile e maleducato?

Ragazzi miei, mi rendo conto che uno ci possa rimanere male, ma davanti ad una persona che smette di rispondervi senza spiegazioni, dall’oggi al domani, dovreste provare a capire che il problema non siete voi, ma che chi lo fa è una persona incapace di ESSERE UMANO. Restiamo umani, perchè questo ci rimane. E se qualcuno si permette di prendere i sentimenti altrui, ballarci sopra, per poi sparire nel nulla, beh, questo non è essere umani. E probabilmente, invece di farvi un torto, vi è stato fatto un gran favore, immaginatevi le beghe, se questo tipo di partner non fosse sparito.

“Non si videro nè sentirono mai più”. Probabilmente stavolta v’ha detto culo.

Le quattro stagioni

Erano lì, separati da un angolo di muro, lui nel locale di rito, lei nel suo. Li divideva un angolo. Un angolo soltanto. Si erano incrociati, ma non se ne erano nemmeno accorti. Mentre lei percorreva la strada principale, lui le veniva incontro, salutando questo e quello. Lei assorta al suo telefono gli è passata accanto, per girare l’angolo pochi metri dopo.

Si conobbero per caso, una notte di luna piena, si parlarono per gioco, cercavano la stessa cosa e la trovarono. Si innamorarono semplicemente, la prima volta che fecero l’amore si sentirono dentro un film romantico. Uscirono insieme verso nottate piene di magia, la loro cittá divenne Parigi, nonostante Parigi non fosse. Camminarono mano nella mano nelle sere d’estate. Abbracciati, invece, sotto la pioggia autunnale. L’inverno regaló loro un albero di Natale, un bel camino accesso, con la fiamma alta che bruciava, come loro; i film che lei amava, guardati abbracciati stretti sul divano. Il whisky che amava lui, bevuto a tarda notte, con la brace silenziosa che scoppiettava piano fino a spegnersi. Ma loro parlavano, ridevano, costruivano i loro riti, a volte fino all’alba. In primavera piantarono i loro fiori, potarono i vecchi. Si scaldavano al primo solicino, lei metteva il maglioncino all’imbrunire, lui si avvicinava e la scaldava nel suo abbraccio, che a lei sembrava tutto il mondo che desiderava. L’estate arrivó torrida, gli abbracci divennero fastidiosamente umidi e sudati, brució i loro fiori. Ridere sembró improvvisamente difficile, forse impossibile. Le loro strade, nell’estate che bruciava, si separono.

In quella sera di settembre, di nuovo mite, loro erano lì, separati da un angolo di muro. Divisi da un angolo. Di tutte le stagioni vissute non c’era più niente. Si erano sfiorati, non si erano visti. Così vicini, ma ormai così lontani.

Non si sarebbero visti mai più. Separati da quell’angolo di muro, che in realtà era diventata una fortezza inespugnabile.

L’inverno è arrivato

Durammo il tempo di una stagione. Un autunno bellissimo pieno di cose meravigliose. Durammo il tempo di una stagione anche se il tempo sembró fermarsi, qualche volta, sdraiati nel letto per 48 ore, senza che l’uno volesse lasciare l’altra. Festeggiammo il suo compleanno con una torta che mai si consuma e lo portai persino a Parigi, al Mouline Rouge, ma tra le nostre lenzuola. Lui invece mi portó indietro nel tempo, con un uomo a cavallo che correva e navigava e io contenta e felice avevo tutto quello che volevo. Lui lo sapeva, lo vedeva e si sentiva un re, uomo accanto ad una donna.

Durammo il tempo di una stagione, una stagione in cui sperimentammo un sacco di cucine perchè ci divertiva ed era una cosa nostra. Mi fece un nido, dove io mi sentivo in pace. Non mi spaventava mai, nonostante di tanto in tanto un temporale affligesse i suoi pensieri, ma mai, mai, i suoi lampi e i suoi tuoni mi spaventarono. E questo lo rasserenava, lo vedevo il sole tornare. Condivideva i suoi cieli e io i miei, per farlo sentire più a casa, più vicino, quando era lontano e perso. Costruí una casa tutta nostra, solo per noi, viola e piena di palloncini, perchè sapeva che mi mettevano gioia. Mi teneva al sicuro, al sicuro anche da sè, ma io non capivo perchè. Le cose belle si sa, durano il tempo di una stagione e come spesso (mi) accade quando si sale così in alto bisogna voler volare e lui non volle. Non volle salire di più. E io sono una che porta parecchio su nel cielo, diceva. Soffriva di vertigini pare e la mia mano non la volle più afferrare, seppur ci pensasse constantemente, seppur in fondo al cuore volesse me. Cominció, mattoncino lego dopo mattoncino lego a fare un muro bellissimo e coloratissimo, che nemmeno mi pareva un muro vero, divertente e allegro, ma sempre un muro era. E noi non eravamo più alla fine degli anni 80, dove i muri venivano buttati giu. Noi eravamo alla fine degli anni 10 dei 2000, dove muri ne mettevamo ovunque, ad ogni confine.

Fu così che arrivó il solstizio d’inverno e quella luna lo portó via.

Non lo vidi mai più ma resta il fatto che fu una stagione bellissima.

Alla pugna!

Viviamo in un’ epoca strana. Viviamo in un’ epoca dove la paura è padrona. In ogni campo. Abbiamo paura di non arrivare a fine mese, abbiamo paura del terrorismo, abbiamo paura delle persone diverse da noi, abbiamo paura di rimanere soli, abbiamo paura di stare con qualcuno.

La paura ci paralizza. Questa paralisi, spesso ci fa perdere un sacco di opportunità. Abbiamo paura di essere felici, di stare bene perchè in passato non lo siamo stati, abbiamo sofferto, siamo caduti e rialzarci è stato doloroso. Ma come si fa a non avere coraggio davanti alle cose belle? Può essere davvero che la paura di fallire ci condizioni a tal punto da non rischiare più? Il passato e le cose che ci sono successe possono davvero rischiare di compromettere il futuro? Non sono convinta di voler stare a guardare la mia vita come se fosse un film, senza viverla davvero, senza sentire il freddo e il calore sulla pelle. È doloroso? Si, certo che lo è, mettersi in gioco lo è sempre, ma se una determinata cosa dovesse essere bella, piuttosto che tragica, non perderei molto di più che non viverla? Le armature pesano, ci affaticano e ci rallentano. Le campane di vetro sotto cui ci mettiamo si rompono, si sgretolano, perchè che lo vogliamo o no, la vita ci inonda e quando l’onda è più alta, non ci sfiora solamente, ma ci porta via, che ci piaccia o no. Con o senza protezioni. Forse sarebbe più utile pensare ad un salvagente, piuttosto che a delle zavorre, ad un giubbottino che ci sappia tenere a galla, ma nel mare, riuscire a nuotarci. Perchè poi, quando siamo lì, a fare il morto a galla, con il sole che ci accarezza l’anima, cavolo se si sta bene. E vale la pena, per paura di affogare, non provare questa sensazione? No.

Sbagliamo protezioni. Preferiamo evitare una cena, che magari ci avrebbe portato delle risate; un viaggio, che ci avrebbe arricchiti; una conoscenza lontana da noi, che ci avrebbe fatto conoscere una cultura diversa; una storia d’amore che per chissà quanto tempo ci avrebbe fatto sentire i re del mondo.

Preferiamo le armature pesanti ai braccioli.

E allora, io sono le mie scelte. Io sono padrona di me stessa. Non la paura, ma io.

Io voglio nuotare, voglio rischiare di essere felice, piuttosto che rischiare di essere paralizzata e apatica. Voglio rischiare di stare bene, anche se questo mi potrebbe procurare dei lividi, anzi, anche se questo mi provocherà sicuramente dei lividi. Ma almeno ci avrò provato. Almeno, guardandomi allo specchio vedrò me stessa e non il mio fantasma.

Io voglio avere coraggio. Perchè un cavaliere non è fatto di armatura, bensì del suo cuore impavido.

Alla pugna!

Come Milord e Bunny

Era qualche mese che ci si girava intorno, che ci si annusava da lontano. Qualche bevuta offerta, qualche sorriso, qualche sigaretta come scusa per fare due chiacchiere. I suoi occhi erano dolci, sempre sorridenti, neri e scuri, impenetrabili. Una sera qualcosa fu diverso, chissà, forse una bevuta di troppo, forse il mio scollo più profondo, forse quel rossetto rosso, forse la pioggia battente:

“vorrei baciarti”.

“qui?”

“si, qui”

“ok”

Mi prese il viso tra le mani con dolcezza, mi guardò. Rimase immobile per un secondo, vicino al mio viso, senza parlare, ma continuando a guardarmi. Poi si incollò a me, con delicatezza, baciò le mie labbra come fossero petali di un fiore raro, lentamente passò una mano tra i miei capelli, l’altra non perdeva il contatto con la mia guancia. Mi baciò con gentilezza, con armonia, fu un valzer di bocche. Sembravamo Milord e Bunny di Sailor Moon.

“Perchè solo oggi dopo tanto tempo?”

“Perchè non ero sicuro che tu lo volessi”

“Io non sapevo di volerlo, fino a che non me lo hai proposto”

“Che scemo eh?”

E continuò a baciarmi, continuò anche a casa mia, e continuò quella volta a casa sua.

“Sei bella, con questa luce del mattino”

La sua tenerezza, le sue carezze per così poca intimità, le sue parole, così piene di affetto che non capivo proprio da dove venisse. Fu inaspettato e piacevole. Fu piacevole perchè fu del tutto inaspettato.

Non lo rividi più, se non per qualche bevuta offerta, qualche sorriso, qualche sigaretta come scusa per fare due chiacchiere.

Non ci fu un perchè. Lui un giorno smise di cercarmi. Io lo stesso giorno smisi di cercare Lui.

Certe cose sono belle se rimangono inaspettate.

Principe o Principessa?

Maledetta Disney, quante volte lo abbiamo detto e ripetuto?
Siamo state bambine e come bambine abbiamo visto i cartoni della Disney. Tutte queste principesse in attesa del principe azzurro.
Maledetta Disney, siamo cresciute, ma non abbiamo smesso di sognare, di sperare, di innamorarci e di rimanere deluse perchè Lui non si comportava proprio per nulla come questo o quell’altro principe.
Nessuno che ci abbia salvate, nessuno che abbia combattuto contro alcun drago, ma anzi spesso, nemmeno il guizzo di prenotare un ristorante.
Povere noi, povere principesse deluse.
Ebbene, superati i 30 ho capito che no. Non sono una principessa, nè tantomeno esiste il mio principe. Però, c’è un però.
Potrebbe essere che abbiamo sbagliato prospettiva? Ovvero, non è tanto quanto noi ci sentiamo la principessa, ma quanto ci piaccia il principe?
Magari la donna che da bambina adorava Biancaneve è una donna che ama stare in cucina e attende un uomo che non muove un dito per lei, eccezion fatta per il ciuccione che la rianima.
O forse la bambina che agognava di essere Cenerentola (esistono bambine che adorassero pulire e lavare per le sorellastre? è una favola un pò sfigata no?) aspetta un uomo che non ha alcuna voglia di cercarla, ma anzi, manda addirittura il valletto a far provare la famigerata scarpetta.
E di Ariel? che mi dite della Sirenetta? La prima principessa crocerossina, con un principe da salvare che si fa circuire da un’altra sciacquetta.
Comunque, l’unico principe emancipato, che faccia davvero qualcosa per la propria principessa è e rimane Filippo.
L’unico tra tutti i principi a correre in mezzo ai rovi, brandendo la spada contro il drago. Un principe pronto a sposare una contadinella, anche se poi gli dice culo che è proprio la principessa.
Filippo è il principe che non ha paura dei propri sentimenti e non ha paura di affrontare i pericoli per arrivare a limonare la sua donna sopita.
Ovviamente la mia principessa preferita è Aurora, de La bella addormentata nel bosco.
E mi sono resa conto poco prima di scrivere questo pezzo, che il mio uomo ideale è proprio il principe Filippo, impavido, buffo, fuori dagli schemi, ma che sa quello che vuole e se lo prende.
Può, dunque essere, che io abbia sempre saputo quale fosse il mio uomo ideale, fin dalla tenera età, ma che non avendolo associato alla mia favola preferita sia uscita con una schiera di principi di qualcun altra?
Ovviamente ancora il mio Filippo non l’ho trovato, starà forse danzando in un bosco con la principessa sbagliata?
Nel frattempo io, me ne sto qua a sonnecchiare, prendendo di tanto in tanto qualche pesce, da ributtare dopo in mare per non rivederlo mai più.

A.A.A

Mi piace quello. Ma mi piace un sacco.
Da qui segue quasi sempre un selvaggio stalking sul profilo fb, su whatsapp, su instagram. Guarda ha fatto questo, guarda è andato li, guarda ha scritto quello. Ora gli scrivo, non mi ha risposto, controllo, ha letto, non ha letto, visualizza e non risponde: OHHH! Calmi!
Non ci rendiamo conto che ne diventiamo dipendenti, ancora prima di entrare in contatto realmente con quella persona. La comunicazione distorta a cui siamo abituati diventa una totale dipendeza, non tanto dalla persona, ma dalla comunicazione stessa. Lo trovo drammatico. L’ho fatto e quando mi sono resa conto di farlo mi sono sentita una dipendenza addosso. Poi l’ho analizzata e mi sono accorta che nemmeno mi importava di Lui ma bensì che Lui mi rispondesse. È una sottile differenza, ma credo sia fondamentale.
Oggi conosciamo le persone prima on line che di presenza. Iniziamo un rapporto con il loro modo di scrivere di pubblicare, di fare foto. E spesso questo periodo dura più del necessario. Ci creiamo un’immagine di quella persona che magari è solo apparenza, magari è realtà, magari si, magari no. Ma iniziamo a creare storie su questa persona, iniziamo a immaginare. Scusate e la realtà?
Mentre ci imparanoiamo nel “OHMIODIO NON MI SCRIVE, MA È ON LINE OPPURE NO?” e giù a cercare su ogni social, perdiamo di vista una cosa stupida e semplice: vedersi.
Ora, forse qualcuno obietterà che Lui (o Lei) è molto impegnato e non può proprio trovare il tempo, per questo ci sentiamo per sms, ma mi ha scritto ed è una cosa buona, no? NO. Ragazzi non lo è. Se una persona non trova il tempo per noi, va lasciata stare, anche perchè come potrete confermare voi stessi dallo stalking selvaggio, la persona in questione trova il tempo per fare molte altre cose. E scrivere un messaggio non è trovare del tempo. Ma abbiamo chattato tutto il pomeriggio. E perchè non vi siete visti? Perchè si continua a rimanere nell’irreale? Facile. Perchè non vogliamo metterci in gioco o sbilanciarci. Ovviamente sto parlando dei rapporti in nascita, sono una fan delle chattate dure, a patto che siano con persone con cui mi vedo anche. Usciamo a mangiare un boccone, a prendere un caffè, a ballare, a fare una passeggiata. Poi si chatta. Cambiando l’ordine degli addendi il risultato cambia eccome.

Quindi, ciao, sono Sandra e sono 29 giorni che non cado nella dipendenza. Non sono sicura che non ci ricadrò. Ma per il momento ho guardato il problema e mi pare proprio che il primo passo per affrontare un problema sia proprio ammettere di avere un problema.

La prima volta

Adoro le prime volte. Le prime volte sono esplosioni di gioia. Le prime  volte sono quelle esperienze che fai una sola volta nella vita e naturalmente la persona con cui le condividi o il momento in cui le fai rimarrano indelebili per sempre. POTENTE.

Un’altra specialità delle prime volte è che crescendo diventano rare.

La prima volta per antonomasia ovviamente è quella sessuale. Ma non penso sia per una questione etica. Penso piuttosto che sia perchè hai (o almeno dovresti avere) un’età in cui sei cosciente di quello che fai. Insomma, è decisamente più importante la prima volta che hai camminato o che hai parlato, ma non te lo ricordi, eppure per i tuoi genitori sarà un momento indelebile. Invece la prima volta che fai l’amore con qualcuno lo decidi. Lo scegli. È la prima volta che decidi di donare qualcosa di te a qualcuno. E sarà solo e per sempre di quel qualcuno.

Sono importante anche, ad esempio, il primo giorno di scuola o di lavoro. Ma io preferisco di gran lunga le prime volte “emotive”. Perchè quest’ultime diventano sempre più rare crescendo.

Mi piace vivere prime volte, ma io, preferisco essere la prima volta di qualcuno. Mi fa sentire speciale. Mi piace diventare parte della storia di un essere umano. È una sorta di egocentrismo, o forse più probabilmente, una scappatella per sopperire al senso di abbandono. Se sarò la prima volta per qualcuno non mi dimenticherà mai. Però è così, io porto con me tutte le persone con cui ho avuto prime volte e anche se molte non so che fine abbiano fatto, mi piace pensare di essere nel cassetto dei ricordi legata alle prime volte che ho regalato.

Poi ci sono le prime volte personali, quelle che non saranno mai di nessuno, ma solo tue. La prima volta che hai visto un quadro di cui ti innamori, la prima volta che hai fatto l’amore con te stessa, la prima volta che ti è battuto il cuore per qualcuno, la prima volta che hai superato un ostacolo e sei stata fiera di te.

Le prime volte sono belle. E più diventano rare più diventano importanti. Perchè quando sarai adulto chi riuscirà a regalarti una prima volta, automaticamente meriterà attenzione.

E allora, adesso, giochiamo, facciamoci questa domanda: quand’è l’ultima volta che hai fatto o provato qualcosa per la prima volta?

C’ eravamo tanto sbagliati

Venivo fuori da un periodo di quelli che la vita un po’ ti piega. Era da diverso tempo che non avevo voglia di frequentare nessun omaccione. E ovviamente, per la legge che in amor vince chi fugge, ero piena di pretendenti.

Ma io non ne volevo sapere. Io uscivo con il mio migliore amico, ridevo, mi sbronzavo e pogavo.

Una sera provammo un locale nuovo. Non feci in tempo a fare tre passi lì dentro che vidi il barman.

BADABAM! Fu incredibile. Improvvisamente il cuore ricominciò a battere, dopo un anno e mezzo di torpore. Sentii nuovamente il calore del sangue sul viso, nel petto, tutto addosso. Sentii l’anima vibrare e cinque o sei farfalle volare nello stomaco. Fu incredibile.

Da sotto il suo cesto di capelli mori, il barman barbuto mi offrì uno shottino, senza nemmeno chiedermi se lo volevo. Era la cosa più schifosa che avessi mai tracannato, che per sentirla schifosa nello stato emotivo in cui ero vuol dire che doveva essere proprio distillato di schifo. Gli sorrisi. Lui spostò a malapena l’angolo della bocca e alzò il sopracciglio in modo accattivante. Vabbè era evidente che fossi di fronte al mio primo colpo di fulmine. I sintomi erano quelli, ne ero sicura, ne avevo sentito parlare spesso dalle amiche, ero convinta di esserne immune e invece eccomi lì cotta come un fegatino.

Il locale si riempì, ma lui trovò la scusa per uscire dal bancone, venirmi incontro e presentarsi. Tornata a casa lo cercai immediatamente su fb.

Chattammo. Mi chiese di uscire. Il nostro primo appuntamento fu da un paninaro. Un baracchino. Lo adorai. Il secondo invece da un kebabbaro. Disse che aveva questa sensazione che non importava dove fossimo, ma bastava esserci insieme. Mi abbracciava. Mi abbracciava tantissimo, disse che i baci sono scontati ormai, ma gli abbracci, quelli sono intimi, nessuno si abbraccia in pubblico.

Persi letteralmente la testa per Lui. Iniziammo a frequentarci, iniziamo a fare l’amore, iniziammo a stare insieme. Iniziammo a convivere.

Furono due anni bellissimi, di viaggi, risate, concerti, musei. Imparai da lui moltissimo. Mi insegnó la calma, la pace, la musica indie, mi insegnó a dormire dopo anni di insonnia. Gli insegnai la riflessione, le emozioni, ad essere se stesso, i film. Lui diceva sempre che io ero l’unica a saperlo guardare.

Siamo stati davvero felici insieme, pieni di interessi, di diversitá che trovavano spesso il punto comune. Entrambi stavamo davvero bene insieme. Ma. Ma ad entrambi mancava qualcosa, senza che nessuno dei due riuscisse a focalizzare cosa. Provammo a parlarne, come sempre riuscivamo a fare. Tranne per quel qualcosa che peró doveva fare la differenza. Eravamo diventati comodi l’uno per l’altra. Eravamo diventati una safety room da quello che ci spaventava fuori da casa e questo non ci permetteva di evolvere e crescere. Incredibilmente ci stavamo vicendevolmente castrando. Avevamo sbagliato da qualche parte, non abbiamo mai capito dove. Ma mai con cattiveria.

C’eravamo tanto sbagliati” come dice Lo Stato Sociale e decidemmo quindi di non vedersi mai più.

A distanza di tempo ancora non ricordo giorno in cui mi sia annoiata con lui. E ancora oggi gli sono grata  ogni volta che mi addormento.